Orfeo abita a Sant'Angelo: l'isola di Ischia nella poetica di Werner Gilles

Nel suo girovagare per l'Italia Werner Gilles trovò una terra mitica, una terra dove l'antico paganesimo e il cristianesimo occidentale vivevano insieme, dove la natura mostrava il suo volto primordiale fatto di rocce vulcaniche, alberi e mare. Quella terra, anzi quell'isola era Ischia. Un'isola palpitante di simboli, dove tutto dalla natura agli uomini alle cose sembravano sospesi in una dimensione atemporale, un'isola che diventò per molti anni l'unica fonte di ispirazione per il grande pittore tedesco.

Werner Gilles abitò a Sant’Angelo per molti anni.

Qui viveva in maniera semplice, condividendo le sue giornate con gli abitanti del posto, trattenendosi spesso e volentieri in piazzetta, dove incontrava i suoi amici europei. Ischia diceva Gilles era la “quintessenza della bellezza assoluta”.

Scrive Kurk Kansenbury in un articolo dedicato a Warner Gilles pubblicato sulla Rassegna di Ischia: Non si pensi che queste immagini siano stati per il pittore come frutti piovuti dal cielo. L’isola d’Ischia certamente gli era familiare, grazie alle sue precedenti visite; ma, quando iniziò a rintracciare l’aspetto intimo del paesaggio, questo si difese e cercò di nutrirlo con i suoi begli aspetti esteriori. Il pittore reagì assimilando innanzitutto questi aspetti in molti bozzetti della na- tura. Li inghiottì, come un tempo Giovanni a Patmos (anche lui un isolano), prese dalla mano dell’angelo il libretto e lo divorò.

“Ti verrà il mal di pancia, ma sul- le tua labbra sarà dolce come il miele.” Il paesaggio persisteva nella sua resistenza, dava un gusto insipido affinché il pittore desistesse dal suo proposito. Ma egli non si arrese, e un giorno gustò il miele della vittoria. Ed ecco i quadri! Se ci attenessimo alle parole di Goethe, dovremmo tacere e farli parlare da sé nel loro chiaro linguaggio che in realtà non ha bisogno di al- cun interprete. Ma all’osservatore è consentito omet- tere questa piccola premessa, e tocca a lui, dopo aver guardato i quadri, se accettarla come una postfazione: come se scambiasse le sue impressioni con quelle di un coosservatore.

In perfetta serenità si percepisce che il “vero” paesag- gio è stato del tutto decodificato, senza fratture, senza scorie in un paesaggio spirituale, poetico: soltanto un grande ardore poteva completare questo processo di ri- fusione. Il paesaggio naturale è diventato quintessenza, ma non è andato affatto perduto. Lo scoglio caldo e l’acqua fredda, il rigoglio della vegetazione, i sentieri, le case, le nuvole come gli uccelli, - c’è tutto, in un messaggio risolutivo e in un ordine stupendo: cioè dalla struttura di questo pezzetto dipende il mondo.

È come se un poeta avesse composto una breve poesia da una descrizione molto lunga e molto precisa di un paesaggio, che esprime fra le righe, con pochissime pa- role, molto più e la maggior parte del suo contenuto. Eccoli quei “segni ricchi di contenuto” magicamente tratteggiati con il pennello, una scrittura ideografica delicata, serena, nel contempo danzante, fatta di tratti, di intrecci, di cunei, di punti, di macchie e di prodotti della fantasia, che ricordano zampe di insetti o apo- strofi gotiche.

Anche segni tipicamente marini, coralli- ni, sono presenti in abbondanza in questo sistema ge- roglifico; nei triangoli acuti che ritornano così spesso c’è lo splendore del sole, la durezza delle rupi, e l’aria calda tremolante si mostra come un confetto colorato. L’aspetto drammatico viene creato dalla forma incon- taminata, depurata, ad esempio dalla contrapposizione fra il tratto ripido e quello piano. Ma comunque sia: alla fine la lirica predomina e fa in modo che tutto il quadro – comunque sia stato impostato – canti e danzi. Esso è fermo e nel contempo scorre.

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