Le feste ischitane tra culto e folklore
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La storia narra che il Capitano del Castello di Ischia, Giuseppe D’Argouth, scampato alla morte in battaglia dopo aver chiesto l’intercessione di San Nicola, abbia innalzato al santo la chiesa, ed abbia costruito l’eremo per ritirarsi a vita monastica.
Perché è anche un piccolo pellegrinaggio, dal momento che per raggiungere la chiesetta bisogna salire a piedi fin sopra la cima. I fedeli cominciano l’ascesa alle prime ore delle mattina: le donne portano le pietanze: salsicce crude da far sfrigolare sulla brace e polpette al sugo, sacchi pieni di pane, “friarielli”, formaggi; i contadini portano il vino.
La messa viene celebrata a metà mattinata, la gente è tanta che a malapena entra nella piccola chiesetta, molti seguono la funzione da fuori. La celebrazione religiosa culmina con una processione montana: la statua coloratissima del santo viene portata per i sentieri dell’Epomeo, una tappa nelle zone più alte permetterà alla benedizione del santo di estendersi su tutti i campi dell’isola.
E il momento è quello giusto: l’inverno è alle porte, le piantine, i pomidoro, l’albicocco, il ciliegio, le viti dovranno superare il freddo per sbocciare rigogliose in primavera ed in estate: con l’aiuto di San Nicola tutto andrà liscio! Si torna in chiesa, la statua torna al suo posto.
L’aroma delle salsicce supera quello di incenso, da ore sfrigolano sulla brace ed un odore fortissimo si spande per l’Epomeo, è un richiamo alla tavola. Che ci sia il sole o le nuvole, fa freddo qui in cima: vino e caldarroste ci riscalderanno per bene. La montagna risuona di voci: accade solo una volta all’anno, poi tutto torna in un silenzio irreale, il silenzio dei luoghi distanti dalla vita degli uomini. Solo San Nicola nel buio della chiesa che ha chiuso i pesanti battenti, continua a vegliare sulla montagna.
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