La vita ad Ischia nell'800. Memorie di Kaden Woldemar

“Ed ecco che emerge, solenne e possente dalle onde blu del mar Tirreno - noi la salutiamo pervasi dalla gioia ed emozionati - la fiera Ischia!Diventa sempre più alta…” Da Kaden Woldemar: “L’Isola d’Ischia nei suoi aspett inaturali, topografici e storici delpassato e del presente” 1883

Nella foto: Woldemar Kaden (Dresda 1838-Monaco 1907). Titolo: Ischia, Napoli. Epoca: 1877. Tecnica: Zincografia acquerellata a mano.

Una piramide regale, eretta dall’eternità per l’eternità in mezzo allo sconfinato deserto del mare, ai piedi cinta da oasi innumerevoli, da oasi felici, abitata da gente felice, così l’isola ci volge il suo saluto: una promessa di gioia! E un turista tedesco come non dovrebbe lasciarsi rapire dalla gioia, lui, il più sensibile di tutti, se già prima centinaia di poeti provarono le stesse sensazioni, centinaia di poeti da Virgilio ad Alfred de Musset, per non parlare dei più recenti! L’isola sinora ha suscitato simpatia in tutti quelli che le si sono avvicinati ed è noto che la simpatia vale più della bellezza, ma Ischia è anche bella. Impressionante è la vista dell’isola, a breve distanza, dal mare.

Vediamo le coste molto frastagliate cinte da neri blocchi di lava, sui quali scivola e spumeggia il mare con scrosciante sospiro; poi la spiaggia si protende fra erte rupi, ma viene subito “sequestrata” dalla più lussureggiante vegetazione, là dove essa vuole estendersi sulla dolce superficie alle falde dei monti; la rigogliosa ginestra, amica del suolo vulcanico, costituisce il suo aureo ornamento. Ma l’intera larghezza della costa fino a metà del fianco del Monte Epomeo, che si trova quasi esattamente al centro dell’isola, è un variopinto giardino. Al chiarore del sole si distinguono chiaramente le forme e i generi dei singoli alberi. L’albero di Minerva, l’ulivo luccicante di argento, si congiunge alla vite più scura nel regno lussureggiante, tra cui emergono qua e là gli alberi caratteristici del paesaggio italiano: il cipresso, il pino e tutte le gradazioni del verde formano un’incantevole armonia col suolo di tufo marrone chiaro.

Ma quello che il vento con le sue agili ali soffia dalla campagna non è l’alito stigio di un grave passato, è il profumo di erbe e di fiori lussureggianti, che si mescola col fresco odore dell’acqua marina, e alla vita più recente servono anche le piccole località, gli agglomerati di case, le ville dall’aspetto così ospitale, locande ed alberghi che si aggrappano alle pendici dei monti, e solo ai più sontuosi riesce di emergere dal verde che tende ad elevarsi sempre di più al cielo. Giacché sulle cime degli olmi e dei pioppi si arrampica la vite, le rose formano delle alte siepi, alberi di fico, ciliegio e melograno prosperano dispensatori di ombra; alberi di arancio e limone si stringono gli uni agli altri in maniera così affettuosa che il sole riesce a stento a penetrare sino ai frutti sparsi sul terreno. Ischia è l’isola della frutta per eccellenza.

Io vorrei, io potrei offrire su una tavola imbandita una cesta di frutta cresciuta in questi giardini e in aggiunta il vino di Ischia. Come riuscirebbero gradite le gustose mele di Testaccio, una frazione di Barano, l’«Amareno» e il «Corvino», le torte di ciliegio di Moropano, un’altra frazione di quel Comune, apprezzate a Napoli. Ci si stupirebbe della notevole grandezza delle pesche, delle albicocche e delle susine della cittadina di Ischia, della dolcezza degli agrumi di Lacco e di Forio. I frutti del fico d’India, che cresce sul Monte di Vico in un bosco impenetrabile, li considero una cosa originale, degna di nota, sono il pasto preferito del popolo. E i grappoli di uva e il vino! Dove potrebbero crescere in maniera più rigogliosa se non in un luogo dove li nutre direttamente il sangue del cuore della terra?

Sul suolo eroso dall’antico vulcano con latente vulcanicità, testimoniata dalle numerose sorgenti termali. L’uva bianca dell’isola, che viene coltivata in minima parte anche nera, dà un vino particolare che, in mani più esperte, potrebbe misurarsi sotto ogni aspetto con il vino del Reno. Il più richiesto è il vino di Serrara, come quello di Forio, color ambra, abboccato, gradevole, soprattutto quello di Montecorvo che è il re dei vini. La base di questo vino bianco di Forio è l’uva che il vignaiolo qui chiama «Biancolella», lui la mescola con la «Capolese» e la «Verdesca»; oltre a questi il popolo distingue ancora l’uva Sorbigno, Codacavallo e Greco e Latino che forse ricordano i primi e più antichi contadini dell’isola: greci e romani.

Così possiamo deliziarci dei frutti e del vino e a ciò si aggiunge il mare generoso con il suo ricco bottino strappato ogni giorno in abbondanza. Quante leccornie ci consegna l’inesauribile pescheria. Su tutta l’isola ci sono grandi quantità di gustose alici e sarde, spesso viene pescato anche il pescespada. Alla Marina di Forio si trovano i delicati cefali, occhiate, spigole, e triglie note già ai romani buongustai come ghiottonerie. Ancora a Forio in un posto chiamato Camerata si pescano preziose cernie, dentici e ronchi. Con questi l’elenco dei pesci di Ischia non è ancora esaurito, occorre annoverare anche il merluzzo, il lacerto, il rotunno, il sauro e a Citara, una frazione di Forio, i grandi calamari, a Lacco Ameno i tonni preferiti dal popolo e pescati in grandi reti che abbiamo visto stendere per quasi tutto l’anno a Ischia e vicino alla «Pietra della Triglia». C’è quindi una sufficiente quantità di cibo per i nostri gusti e i nostri stomaci, anzi l’isola offre un’inesauribile abbondanza di prodotti della terra e lo constatiamo sia quando attraversiamo l’isola a piedi, sia quando lo facciamo a dorso d’asino o su quei carri a due posti tirati da quegli agili cavallucci e altrettanto svelti asinelli accompagnati dagli instancabili «ciucciari», servizievoli e chiacchieroni.

Durante queste escursioni si ha l’occasione di conoscere la popolazione e, se si vuole - ne vale la pena -, di studiarla e certamente affezionarsi ad essa. Non si può negare l’antica origine greco-romana; questa è impressa su molti volti, nei loro dialetti, nei loro particolari usi e costumi. A prescindere dalla Marina e dai quartieri più esposti al movimento turistico, dobbiamo assolutamente visitare le località alte dell’isola, come Campagnano, Piejo, Barano, Moropano, Fontana, Serrara e altre.

La gente di là mostra lineamenti marcati, in particolare hanno il naso e il mento dal fine taglio greco e i grandi occhi profondi guardano con l’espressione di una lieve malinconia, come riscontriamo su certi busti dell’antichità. Il colore scuro della pelle sembra essere una caratteristica della stirpe, perché in questo gli Ischioti si distinguono nettamente dagli abitanti vicini della terraferma, benché vivano sotto lo stesso clima, con uguali occupazioni, esposti allo stesso sole. I Napoletani della città, per i quali molti si sono formati un giudizio generico sulle popolazioni del Sud, non sono presi in considerazione in questa occasione, poiché là il cambio delle nazionalità ha cancellato già da tempo l’originalità delle forme del corpo e del viso.

Fra le donne e le ragazze delle citate località si trovano delle vere bellezze e delle figure regali, ma esse sfioriscono presto perché sono per lo più bestie da soma per i mariti e nessuno si cura di esse. Due terzi della popolazione sono contadini, il resto pescatori, navigatori e, una piccola parte in via di estinzione, artigiani. Le donne sbrigano le faccende domestiche e aiutano gli uomini nei continui lavori di campagna. Quelle anziane filano la canapa, tessono tele grezze, tappeti, le giovani intrecciano paglia e ad ognuno, che sia stato ad Ischia anche soltanto una giornata, restano impressi nella mente i graziosi canestri variopinti, i ventagli e i cappelli che vengono offerti in vendita negli alberghi e davanti ai caffé.

Il loro abbigliamento festivo è il «corpetto», il busto orlato ai fianchi con frange dorate; nella maniera in cui avvolgono il foulard intorno alle trecce nere, in modo che le estremità cadano con grazia sulla schiena, sono maestre, mostrano che, malgrado la vezzosa ingenuità, ne capiscono anche di civetteria. Sarà difficile, però, intrattenersi con loro anche per chi ha imparato l’italiano con un maestro fiorentino, con le migliori grammatiche e con metodi efficaci, perché tutte parlano nel dialetto più oscuro, mescolato con una gran quantità di lemmi antichi, greci, latini, spagnoli e di altri sostrati linguistici. L’isola è divisa in sette comuni e si possono distinguere sette dialetti. Si capi- scono più facilmente i dialetti di Lacco Ameno, di Casamicciola o di Ischia, cioè le località sul lato settentrionale, aperto, frequentato, dell’isola. Sul lato meridionale e nelle località di contadini situate in alto anche l’italiano dell’Italia centrale si sente perduto, qui viene offerto un lessico ignoto. Sono note quattro motivazioni per cui un popolo crea un suo proprio dialetto: imitazione involontaria, bisogno o necessità, comodità e capriccio. E a Ischia, come altrove, abbiamo occupazioni militari mutevoli, le colonie, le alleanze, il commercio, i viaggi e via dicendo.

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