Giovanni Maltese, un "verista" foriano

Chi si porta sul Torrione e osserva sculture e le pitture di Maltese, non ha difficoltà a collegare quella produzione alla osservazione serena dell'umanità foriana e isolana dell'epoca. I personaggi sono popolani, borghesi, uomini della politica e della cultura del tempo

Non mancano scene di riferimento alle sventure umane (vedi il naufrago) alle attività (vedi la solfatrica, il pescatore etc.) alle aspirazioni dell’uomo dell’epoca (vedi il trittico del divenire sociale). E’ indubbio che il Verismo ha esercitato sul nostro un indiscutibile fascino. Anche la riproduzione di opere classiche e gli studi anatomici si iscrivono nella cultura del tempo, attenta allo studio del corpo umano, per scoprirne i meccanismi e curarne i mali.

Più ambiguo è il rapporto con l’Impressionismo. Sappiamo che il Nostro si trasferì in Francia e per qualche tempo visse a Parigi, proprio negli anni in cui nasceva quel movimento artistico, che suscitò scandalo negli ambienti intellettuali e quindi molte discussioni, prima di essere compreso e accettato in tutta la sua forza rivoluzionaria.

Maltese di certo ne ebbe conoscenza ma ne accettò soltanto il rifiuto dell’accademismo e della retorica dell’arte romantica, per far spazio a una più vasta presenza del naturale e del positivo. Quello che l’Impressionismo realizzò in campo pittorico, ossia la pittura all’aperto, con la conseguente valorizzazione del colore, che fa massa e crea volumi, non è presente nella sua opera pittorica, che si affida a una tecnica semplice, quella della carbonella, che produce immagini più vicine alla fotografia in bianco e nero (quella delle origini), che non alle opere degli Impressionisti, dove la scena o il personaggio sono immersi in una spazialità policroma, frutto di una osservazione diretta del reale, non priva del filtro della sensibilità dell’artista. Inoltre la scultura per lo più realizzata nel materiale povero del gesso, con qualche eccezione in bronzo, sono a mio modesto parere divisibili in due gruppi; alcune sono abbastanza convenzionali, attente a riprodurre i caratteri somatici del soggetto, quasi a fotografarlo; si direbbe che sono state eseguite su commissione.

Altre appaiono più ispirate, dimostrano nel volto e negli atteggiamenti la partecipazione al pathos dell’esistenza umana, riprodotto con amore pietoso. Penso alle statue del Naufrago, cioè dell’uomo salvato dalle acque, lacero nel vestito, il volto contratto in una smorfia di dolore e di terrore; penso al naufragio di Agrippina dove sul volto dei protagonisti è riprodotta con forte espressività la tragedia incombente; penso agli occhi stupiti del contadino in gesso e in bronzo, alla leggiadria delle forme e allo sguardo che si perde lontano del ritratto del giovane che guarda, alla malinconia orante del ritratto di una suora, alla serena maestà del volto di un uomo morto, raffigurato nella sua ultima e definitiva posizione.

Mi pare che in queste opere il Verismo del Maltese raggiunga una notevole dimensione poetica.

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