Il confino dorato di Curzio Malaparte ad Ischia

Ischia «isola, di una bellezza selvaggia, quasi primitiva, dove trionfano in un intreccio sapientemente modellato viti cariche di uve e limoni profumatissimi». Parole dedicate all’isola di Ischia da un italianissimo dandy, giornalista, fotografo, soldato, diplomatico, opinionista politico, scrittore e soprattutto grande istrione.

Il soggiorno di Curzio Malaparte nell'isola d'Ischia articolo di Gino Barbieri tratto dalla Rassegna di Ischia

È Curzio Malaparte che ad Ischia trascorse un intero anno. Lo accompagnava in quello che fu un malinconico isolamento forzato il suo adorato Febo, uno dei suoi cani preferiti. Per Malaparte Ischia fu terra di confino, ma da buon esteta seppe apprezzarne le bellezze naturali e intrecciare profondi e proficui rapporti umani. Ischia è anche fonte di ispirazione per Malaparte. Così dallo studiolo di Villa Lancellotti, ad Ischia porto comincia a scrivere una raccolta di racconti “Sangue”.

Fu il suo un «soggiorno obbligato» (allora si chiamava confino) nell’Isola Verde, che già per il passato aveva ospitato (si fa per dire) gli «agraziati dalla pena capitale» e i patrioti napoletani del 1799 e del 1848 salvati graziosamente dalla forca da re Ferdinando di Borbone! Parliamo naturalmente dell’esilio dorato a Ischia di Curzio Malaparte, il maledetto toscano vezzeggiato dal fascismo e odiato dai comunisti (ma non da Togliatti), avvenuto nel 1936, quando il regime non perdonava per nessuna ragione al mondo le intemperanze di chi mostrava non dico avversione alla dittatura, ma perfino sacrosante critiche alle malversazioni dei gerarchi e dei tanti ras di periferia consumate alle spalle di Mussolini.

La presenza a Ischia del giornalista e scrittore, già affermato con La rivolta dei santi maledetti, Le nozze degli eunuchi, L’Arcitaliano, L’Italia Barbara, può davvero essere considerata un fatto inedito, perché di questo confino, durato oltre un anno, mai nessuno ha fatto cenno nella pur ricca bibliografia esistente sulla storia, la cronaca e gli avvenimenti isolani che hanno caratterizzato il secolo scorso.

Dobbiamo ad alcune Lettere inedite del nutritissimo epistolario malapartiano, pazientemente ricomposto dagli eredi dello scrittore, la scoperta del confino ischitano e gli addentellati storici a cui si ricollega quel provvedimento illiberale del Fascismo, che in ogni caso era sempre preferibile al carcere e ad altre ignobili persecuzioni ideate da una dittatura che imponeva il consenso, senza “se” e senza “ma”, come diremmo oggi! Mussolini in persona lo fa condannare dal Tribunale Speciale a 5 anni di confino e lo spedisce (1933) nell’isoletta di Lipari a meditare e... ravvedersi!

L’amicizia con Galeazzo Ciano gli fa ottenere dopo due anni il trasferimento a Ischia, che lo scrittore invoca, perché ha conosciuto l’isola nel 1926 in occasione di «una scampagnata con camerati di Caporetto» come ironicamente ricorda in una lettera del 1936: «...mi trovo nell’isola vulcanica di Ischia, gentile dono del conte Ciano, che mi ha evitato il protrarsi della penosa sofferenza fra i Liparioti...».

Nel nuovo esilio Malaparte sembra rigenerato; torna in lui a fluire quell’entusiasmo letterario che sembrava sopito dopo la dura mazzata inflittagli dal Fascismo! Inizia a scrivere la serie di racconti “Sangue” nello studiolo della “Villa Lancellotti”, dove prese alloggio nella bella casa Liberty del sarto Raffaele, alla via Edgardo Cortese. A Ischia gli fanno visita, in maniera molto discreta, diversi collaboratori di giornali e riviste che sollecitano un intervento del capo del Governo per “graziare” l’illustre confinato.

Qui, Malaparte getta le basi per la fondazione della rivista Prospettive che vedrà la luce a Roma nel 1937, dopo la sua liberazione. Dalle numerose lettere scritte ad amici (Augusto Turati, Daniel Halévy, Galeazzo Ciano), editori (Longanesi, Vallecchi, Félix Alcan) e ai parenti, si deduce che a Ischia “l’enfant terrible” non si trovava poi tanto male. Ma certamente gli mancavano le serate mondane, gli incontri letterari, le assemblee di redazione e infine i reportage all’estero, dopo le esaltanti esperienze vissute in Spagna, Francia, Belgio e Cecoslovacchia, ma in compenso trovò conforto nell’incontrare vecchi amici di milizia, come il pittore Vincenzo Colucci, che conobbe insieme al fratello Eduardo a Fiume nel 1919.

Colucci era nato lo stesso anno di Malaparte (1898) e per certi versi sembrava “clonato” dall’eclettismo del camerata, dal suo spirito di avventura e da un egocentrismo smisurato che lo spingeva sempre al centro della scena, prim’attore in cerca del consenso e dell’applauso finale. Malaparte fu spesso ospite a “Villa Rosica”, nella pineta di Punta Molino, dove i Colucci e l’allegra brigata ischitana e forestiera si davano convegno quasi ogni sera, dopo aver sparato gli usuali colpi di cannone (fortunatamente a salve!), per consumare allegramente montagne di spaghetti al sugo di pomodorini di giardino e zuppe di pesce freschissimo della Mandra.

Fra i commensali abituali figuravano l’ex legionario fiumano Franco Girosi, il pittore Giuseppe Casciaro e, di volta in volta, Montale, Campigli, Maria Montez, Eduardo e Peppino De Filippo, i pittori tedeschi Gilles, Purmann, Kraemer, i giornalisti Piero Girace, Alfredo Schettini, Ferrando Porfiri, i critici d’arte Paolo Ricci, Enrico De Angeli, Lucio D’Ambra, R.M. De Angelis e molti altri.
Nel suo soggiorno ischitano, Malaparte attese alla stesura di alcuni saggi politici e storici: una preparazione accorta e mirata per “rientrare” nell’agorà dopo il brutto rospo, non ancora digerito, rifilatogli dal Regime! Naturalmente non esitava ad uscire dal suo guscio quando lo si invitava a qualche manifestazione, come quella Mostra di Artigianato organizzata dal partito fascista ischitano presso le Terme Comunali.

Era stato don Onofrio Buonocore a volerlo alla festa, lui che apprezzava i giovani letterati e le «forbite penne che perennano la nostra Italia!». In una lettera inviata all’editore Longanesi, fra l’altro scrive: «... Nel corso di una serata di beneficenza promossa dal partito (fascista) locale, il benemerito sacerdote Buonocore, infaticabile organizzatore e prolifico scrittore di storia ischitana, mi ha presentato a numerose autorità a cui non fa certo difetto la devozione per il duce. Fra tutti eccellono per attaccamento all’Idea il federale dell’isola Tallarico, i podestà di Ischia e Casamicciola D’Arco e Conte e il poeta foriano Giovanni Verde, centurione della prima ora; personaggio divertentissimo e molto dotato. Nell’isola, di una bellezza selvaggia, quasi primitiva, dove trionfano in un intreccio sapientemente modellato viti cariche di uve e limoni profumatissimi, vi sono numerose persone di buona cultura, fornite di ricche biblioteche cariche di anni, ma quasi tutte soffrono di mali antichi, quali un bigottismo esasperato che le porta ad essere servizievoli e docili verso i preti e una invincibile invidia, tutta paesana, che inasprisce i rapporti quotidiani ed è causa di frequenti litigi giudiziari. Un buon diavolo di Casamicciola, artigiano del legno, mi ha voluto far dono di una raccolta di versi stampati in un suo libriccino che decantano le bellezze di quest’isola, colonizzata dai Greci e frequentata dai Quiriti per l’utilità che traggono dalle sorgenti termali. Queste acque sono disseminate in tutta l’isola e si rinvengono perfino sulla riva del mare. Ho pensato seriamente alla possibilità di costruire più in là una villetta in questi paraggi, fra aranceti e ginestre, proprio dirimpetto alla bella Partenope, per trascorrere l’estate in santa pace, lontano dai frastuoni della città...».

L’idea di una casa in campagna maturò in Malaparte proprio in questo periodo di isolamento che sembrava avergli tarpato le ali e moderato le battagliere aspirazioni letterarie e politiche. Naturalmente si trattava di stati d’animo passeggeri, perché, come vedremo in seguito, gli eventi che si apparecchieranno per Malaparte lo vedranno protagonista a tutto campo di una lunga stagione di avvenimenti turbinosi che lo consacreranno giornalista e scrittore di fama internazionale.

Grazie alla sua amicizia con Ciano, dopo appena un anno di esilio a Ischia, riuscirà finalmente a sbarcare a Capri, ospite del medico svedese Axel Munthe. Nell’Isola Azzurra realizza l’idea della villa estiva approfittando della consistente somma di 500.000 lire, elargitagli dall’Istituto di Previdenza dei Giornalisti, e della “riabilitazione” ottenuta da Mussolini, grazie ai buoni uffici interposti dall’architetto del regime, Adalberto Libera, che gli fa anche il progetto della costruzione.

Nel 1938 Malaparte è inviato speciale del “Corriere della Sera” in Africa e in Russia al seguito dell’esercito tedesco, ma ormai ha abbandonato il Fascismo e le velleità di farsi strada nelle gerarchie del regime. Viene richiamato alle armi nel 1940 e partecipa alle operazioni di guerra sui fronti finlandese, russo e francese salvando sempre la pelle in quel grande forno crematorio dell’Europa in fiamme. Con la caduta del Fascismo, Malaparte viene arrestato dal governo Badoglio, ma gli americani lo salvano affidandogli addirittura il compito di ufficiale di collegamento nell’avanzata verso la Linea Gotica. Fra una battaglia e l’altra trova anche il tempo di scrivere Kaputt e aderire al... partito comunista! Inutile sottolineare che per i suoi trascorsi fascisti deve fare i conti con oppositori di tutto rispetto che non gli perdonano lo spregiudicato camaleontismo e la scarsa fede negli ideali politici della sinistra. Antonio Gramsci, scrivendo a Togliatti una lettera dal carcere, dichiara senza mezzi termini che Malaparte è «un uomo di una vanità smisurata e di uno snobismo camaleontico, capace, per la gloria, di qualsiasi scelleratezza!». Nel 1949 il “maledetto toscano” pubblica “La Pelle”, controverso reportage sulle condizioni di Napoli nel corso della guerra; affresco truce e violento di una città dove l’imbarbarimento della vita pubblica aveva raggiunto limiti da inferno dantesco. Giornalista affermato, scrittore osannato e bistrattato, Malaparte è stato per interi decenni al centro di un serrato dibattito critico-letterario non ancora del tutto esaurito. In un viaggio in Cina compiuto nel 1955 scoprì di essere gravemente ammalato. Tornò a Roma e si ricoverò nella Clinica Sanatrix, dove morì due anni dopo, il 10 maggio 1957.

Personaggio dotato, ma complesso, visse sempre da solo, senza mai legare troppo, né con le donne, né con gli uomini: le prime furono soltanto avventure passeggere; gli altri, con cui fu costretto a vivere e misurarsi, costituirono solo un mezzo per raggiungere i suoi obiettivi di affermazione e di gloria. Il suo ultimo pensiero sul letto d’ospedale andò all’amatissimo cane Febo, che lo aspettava a Capri, nella casetta sul mare diventata muta e solitaria.

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