Le “pesciaiole”, donne in carriera nel dopoguerra ischitano

Per chi veniva in vacanza ad Ischia negli anni 50, 60 e 70 le “pesciaiole”, le pescivendole, erano figure familiari, quasi parte del paesaggio, il paesaggio gonfio di sole della baia dei Maronti.

Avevano nomi bellissimi, musicali, spesso buffi, Nannina e’ pontaquaglia, Nunziata a’ pazzarella, Assunta e’ pschniell e camminavano svelte sulla spiaggia bollente a piedi nudi, perché il calore nulla poteva contro quei calcagni duri quanto uno zoccolo di legno. Spesso prima di vederle se ne sentiva la voce, lanciavano forte il richiamo lungo e melodioso dei venditori ambulanti: c’era quella che si limitava al classico “aluzz, aluzztiell frisc” (aluzze fresche) qualcuna altra invece faceva anche un po’ di cabaret approfittando del facile doppio senso e urlava “pesc frisc e’ maritem” o “mariteme ha piscat nu pesc cchiu pitt e’ chill e’ figleme” (pesce fresco di mio marito; mio marito ha pescato un pesce più piccolo di quello del mio bambino).

E dalla cesta che portavano per ore e ore sulla testa si spandeva il profumo di pesce appena pescato. Lo andavano a prendere all’alba appena le barche dei pescatori, – spesso mariti, padri, fratelli – approdavano sulla spiaggia. Loro rimanevano ore e ore in attesa in un luogo in alto, lungo l’antica strada che collegava il paese di Testaccio ai Maronti, da questo posto avevano la piena visuale sulla baia. Aspettavano che dalla barca giungesse il segnale: un remo alzato verso il cielo, il pesce aveva colmato le reti.

E allora via giù di corsa a fare il carico. Mentre riempivano le ceste, riempivano anche un pezzo di pane con del pesce crudo e po’ di acqua di mare, era la loro colazione; poche calorie e un po’ di proteine per una giornata di lavoro non certo leggera, la cesta poteva pesare anche decine e decine di chili e il cammino era lungo. Ma per le pesciaiole questo workout oggi insostenibile era una giornata come un’altra.

Dieci-venti chilometri per raggiungere le piazze e le contrade prefissate: intanto man mano che procedevano la cesta si alleggeriva, le donne accorrevano al richiamo e compravano qualche etto di aluzze, rotondi, o varietà più prelibate. A volte non c’era vendita, ma baratto. Un coniglio, della frutta, degli ortaggi in cambio del pescato. E quando l’obiettivo economico della giornata era centrato, come si direbbe oggi, non restava che farsi altri 10 chilometri e tornare a casa, a riposare? Certo che no! La famiglia è numerosa e la lavatrice è roba del futuro.

Leggi anche:

  • Ad Ischia hotel dove il Natale è vera festa

    Il profumo di legna per i vicoletti chiusi da case colorate, l’aroma di caladarroste che invade la piazzetta, la bellezza di questi paesi arroccati su colline o stesi sulla costa, di queste case tutte con un albero di Na..

  • La festa di San Nicola all’Epomeo

    Il 6 dicembre si celebra la festa a “più alta quota” dell’isola: San Nicola. La chiesetta dedicata al culto del Santo si trova infatti in cima all’Epomeo, la vetta di quasi 800 metri che domina l’intera isola..

  • La Pasqua ad Ischia per inaugurare la primavera

    Una manciata di giorni ci separano dai primi ponti primaverili, una manciata di settimane da giorni di relax, vissuti nella pienezza di una vacanza assoluta, tra mare, terme, sole e lunghe passeggiate nel verde. Ma anche..