I gigli di Santa Restituta

Narra un’antica leggenda che un giorno molto lontano nel tempo, spinta dal vento e dalle correnti marine, proveniente dall’Africa giunse nella baia di San Montano una piccola barca che conteneva il corpo senza vita della giovane martire Santa Restituta. E quando la barca toccò la spiaggia per miracolo questa si riempì di gigli bianchi: i gigli di Santa Restituta

Bibliografia: articolo di Roberta Vallariello tratto da “La Rassegna di Ischia”

Una delle principali testimonianze della profonda unione tra religione e natura può essere senz’altro ravvisata nella consuetudine di venerare santi al cui nome, ed immagine, è legato un fiore o una pianta, come ad esempio: giglio di S. Antonio (Lilium candidum L.), giglio di S. Restituta (Pancratium maritimum L.), Maria SS. Consolatrice del Carpinello (Ostrya carpinifolia Scop.), fior d’Angelo (Philadelphus coronarius L.).Queste piante che accompagnano i nomi dei Santi vengono subito individuate dai fedeli e mai confuse con altre specie botaniche. Per quanto concerne il Pancratium maritimum L., è necessario precisare che solo nell’isola d’Ischia questa specie è conosciuta col nome dialettale di giglio di Santa Restituta, mentre in tutto il resto d’Italia viene chiamato giglio marino.

Il mese di maggio è caratterizzato da numerose ricorrenze religiose, in particolare a Lacco Ameno il 17 maggio si venera con festeggiamenti solenni Santa Restituta. In passato, in occasione di questa ricorrenza, i fedeli raccoglievano lungo i litorali sabbiosi dell’isola questi gigli. Alcuni di essi con tali fiori adornavano le barche utilizzate per la processione via mare, altri in segno di devozione addobbavano l’interno della chiesa, in particolare l’altare della Santa. Numerose erano anche le offerte realizzate con altri materiali, come ad esempio alcuni bouquet di gigli confezionati assembrando migliaia di pezzettini di corallo, oppure con la paglia di grano carosella

Questi lavori, costruiti dai fedeli con notevole maestria, riproducevano la forma dei fiori del Pancratium maritimum L.; molto spesso la fantasia e l’estro dell’artigiano andavano oltre la riproduzione dei semplici fiori, così realizzava, sopra queste corolle, anche dei bombici e delle farfalle. Nel corso degli anni, nel Santuario di Santa Restituta sono state lasciate diverse testimonianze attraverso gli ex voto offerti dai fedeli.

Molti sono modelli ripetuti nella forma, ma alcuni, realizzati con materiale molto semplice come la paglia di grano, rappresentano delle opere uniche ed irripetibili, veri capolavori sono stati donati alla Santa. Ancora oggi, a distanza di oltre un secolo, è possibile ammirare questi manufatti conservati nel museo attiguo alla chiesa. Attualmente non si adornano più come una volta le barche per la processione via mare, né l’interno della chiesa, né tanto meno si realizzano manufatti artigianali per donarli alla Santa, come si faceva in passato.

Durante la festa, per gli addobbi si utilizzano altri tipi di fiori e altri materiali, poiché quelli che si utilizzavano in passato sono ormai introvabili. Ma nonostante tutto in occasione dei festeggiamenti della Santa, vicino alle edicole votive vengono deposti assieme ai fiori alcune spighe di grano, queste ultime molto probabilmente a ricordo della vecchia tradizione. Che cosa è, a cosa serve, il Pancratium maritimum L. dal punto di vista botanico, ecologico e paesaggistico.

Questa specie appartiene alla famiglia delle Amaryllidacee e, senza alcun dubbio, è una delle piante più ornamentali e profumate dei litorali sabbiosi, con i suoi grandi fiori bianchi, molto belli, che sbocciano nei mesi estivi. Pianta geofita psammofila, provvista di grossi bulbi e lunghe radici in grado di raggiungere la falda freatica. Le foglie sono nastriformi lunghe 30-40 cm, di un verde glauco, molto flessibili ben adatte all’ambiente arido e ventoso delle sabbie. Lo scapo fiorale alto da 20 a 50 cm porta da 3 a 10 fiori grandi, bianchi, molto appariscenti, intensamente profumati dopo il tramonto del sole. Il suo areale di distribuzione è esteso a quasi tutte le regioni mediterranee.

In alcune zone dell’Italia meridionale e insulare, oltre a questa specie, si trova anche il giglio illirico (Pancratium illyricum L.), molto simile al precedente ma con fiori più piccoli di colore bianco, diversamente conformati. Il genere Pancratium comprende circa 15 specie: di queste, solo le due specie menzionate vivono alla stato spontaneo in Italia. Possono essere tutte coltivate nella maggior parte delle regioni italiane, in terreni molto ricchi di sabbia, estremamente permeabili, ben esposti e soleggiati. I litorali sabbiosi sono ambienti molto particolari, difficili, a volte ostili verso qualsiasi forma di vita, come lo sono altrettanto tutti gli ambienti che si interpongono e che costituiscono l’interfaccia tra le terre sommerse e quelle emerse.

Tutte le specie vegetali che vivono in questi ambienti, molto ristretti, hanno sviluppato una serie di adattamenti molto specifici che consentono la loro sopravvivenza, anche nelle condizioni più estreme. Per questi motivi le specie delle rupi marine non potranno mai vivere su un litorale sabbioso e viceversa. Il Pancratium maritimum L. vegeta e si sviluppa all’inizio della primavera, in questo periodo le lunghe radici sono in grado di raggiungere la falda freatica, prima che il caldo estivo prosciughi le sabbie superficiali. In generale le geofite (anche il nostro giglio) sono piante provviste di organi sotterranei, come bulbi, tuberi o rizomi, i quali permettono loro di superare senza danni irrimediabili i periodi sfavorevoli.

Tali organi, grazie alle sostanze di riserva in essi accumulate nel precedente periodo vegetativo consentono lo sviluppo delle piante nelle prime fasi di attività. Durante il periodo di riposo di questi vegetali, nessuna delle loro parti è visibile al di sopra del terreno. Solo alla ripresa dell’attività vegetativa si formano organi a funzione fotosintetica, come le foglie. Le sostanze prodotte in seguito alla fotosintesi sostituiscono le vecchie fonti di nutrimento nel sostentamento della pianta. Successivamente si formeranno i fiori che dopo l’impollinazione e la successiva fecondazione produrranno i semi, che assicureranno la continuità della specie.

Nell’ambito di questo gruppo di piante, il Pancratium maritimum L. occupa un ruolo molto importante poiché con la sua presenza sugli arenili favorisce gli accumuli di sabbia che viene rimossa dall’azione del vento, e quindi partecipa alla formazione di piccole dune. Il primo studioso a interessarsi a questa specie, fu il botanico italiano Andrea Cesalpino nel 1583. Più tardi, nel 1834 per quanto riguarda solo l’isola d’Ischia, veniva segnalata genericamente la presenza "sulle arene marine" da Giacomo Stefano Chevalley de Rivaz. Nel 1854, Giovanni Gussone fu più preciso e ne segnalò la presenza sempre sulle arene marine di Lacco, alla marina di San Montano; Forio, alla marina di Citara e di Montevergine, infine alla marina di S. Angelo. Attualmente questa specie, in quasi tutto il suo areale di distribuzione lungo le coste del Mediterraneo è in regressione, seriamente compromessa a causa della forte antropizzazione e dello sfruttamento intensivo dei litorali sabbiosi.

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