A Punta Chiarito un villaggio archeologico. Tracce di vita minuta di un lontano passato
Chi ama recarsi in quei luoghi dove la traccia di un antico passato è ancora molto visibile, dove segni di vita datati duemila anni possono ancora dare un'idea come si viveva in quell'alba della civiltà occidentale amerà il villaggio di Punta Chiarito a Panza, nel comune di Forio. Si troverà di fronte a quanto rimane di un villaggio di capanne che fu abitato da pescatori e contadini. Qui a Punta Chiarito sono stati trovati resti archeologici commoventi per la loro funzione domestica, utensili e oggetti che scandivano la vita minuta e feriale di questa piccola comunità dedita alla coltivazione della terra ed alla produzione di vino
A Punta Chiarito a Panza scavi recenti, condotti tra il 1994 ed il 1997, hanno portato alla luce un villaggio di capanne, testimonianza della frequentazione antropica del sito in due successivi periodi. L’insediamento più antico si data al 750-730 a.C., nella sua fase iniziale, e dura sino agli inizi del VII secolo a.C., quando un’eruzione vulcanica ne determina l’abbandono; sono pertinenti a questa fase una parte di un fornello di impasto, prodotto localmente, e frammenti di ceramica di produzione coloniale ed estrusco-italica.
Alla fine del secolo alcune capanne vennero restaurate: si avviò così la seconda ed ultima fase di frequentazione del sito, la cui vita fu bruscamente interrotta da una coltre di fango, che, sopraggiunta repentinamente nel corso di un’alluvione, sigillò l’abitato. Conformemente a quanto già noto da altri siti le capanne, a pianta ellissoidale, erano costruite con pareti di pietre di tufo, parzialmente lavorate, messe in opera a secco ed addossate, ove possibile, alla parete del pendio; la copertura era a doppio spiovente lungo il corpo centrale, completata, in corrispondenza delle absidi, da un catino in canne e fango; accanto ai muri perimetrali corrono due file parallele di buchi, unica traccia dei pali lignei che contribuivano a sostenere il tetto.
La sala 123 del Museo Archeologico di Napoli, ospita la ricostruzione di una capanna
La struttura aveva due piani, con una scala lignea per l’accesso a quello superiore, adibito a thalamos; l’interno del piano inferiore era suddiviso da un tramezzo in due zone, l’una destinata a magazzino per le derrate, l’altra alle attività domestiche. Per la conservazione di cereali, pesce e bevande si impiegavano grandi contenitori ceramici, pithoi, di fabbrica locale; altro vasellame, di importazione, era collocato su mensole, e costituiva un servizio da banchetto, di cui fanno parte anche un cratere laconico, due grattugie di bronzo ed un bacino di bronzo con orlo perlinato, il primo rinvenuto a Pithekousai.
Nei pressi dell’ingresso si è rinvenuto il fondo di una chytra, contenente dei grumi di rame, probabilmente usati con funzione premonetale per i grossi scambi. Alla sinistra della porta vi era un altro ambiente, dominato dal focolare e dal telaio: il focolare era costituito da un piano quadrangolare sul quale si conservavano abbondanti resti di cenere e gusci di molluschi; il telaio, facilmente localizzabile grazie alla concentrazione di pesi in argilla cruda, era addossato alla parete.
Lo spiazzo antistante la costruzione ha restituito gli arnesi da lavoro: ami da pesca e pesi per le reti, qualche attrezzo agricolo, una doppia ascia vicino ad un blocco di tufo in lavorazione e le armi, una spada ad un solo taglio e delle punte di freccia; vi si è rinvenuto inoltre un palco di corna di cervo accuratamente tagliato ad una estremità.
Gli elementi acquisiti consentono di giungere alle seguenti conclusioni: la capanna era abitata da pescatori; qualcuno sapeva lavorare il corno per ricavarne manici di utensili o altri oggetti; la comunità aveva contatti, anche di natura culturale, con le popolazioni greche, ed è significativa in tal senso la presenza del cratere, che attesta la diffusione del banchetto anche presso le fasce più basse delle popolazioni indigene.
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