La danza del lavoro “O’ Puntone”

Costruire una casa un tempo ad Ischia, quando la tecnologia era inesistente, era veramente faticoso. Tutto era fatto quasi esclusivamente a mano senza nessun supporto meccanico. Ecco perché quando si giungeva alla fine del lavoro era festa grande, anche se l’ultima tappa, la copertura del tetto, era la fase più difficile. In questa fase lavoro e musica si mescolavano in un vero e proprio rito scandito da gesti e canti

Di quel rito oggi è sopravvissuta la danza de O’ Puntone che i gruppi folcloristici isolani hanno conservato intatta come una volta. È una danza che rappresenta la copertura di alcuni tetti delle case isolane,fatte fino a qualche tempo fa, soprattutto a Buonopane, con la caratteristica cupola detta "carusiello" che richiama in qualche modo l’architettura araba. Il proprietario, al mattino presto, dopo aver preparato un impasto di lapillo e calce, legava una bandiera ad un lungo palo di castagno affinché fosse visibile ad una buona distanza.

Essa serviva ad annunciare l’evento ed a chiamare a raccolta i giovani robusti perchè, gratuitamente, collaborassero. Era una festa per tutto il paese: i contadini, riposte le zappe ed abbandonati i campi, accorrevano a portare il contributo di braccia abituate a duri lavori. All’alba giungevano anche i battitori o “puntunari”, recando in spalla il proprio bastone, con esso veniva pressato a furia di colpi ritmati e violenti il lapillo spruzzato ininterrottamente con succo di calce.

Era per i battitori una fatica enorme, un carosello incessante attorno alla cupola; i vari movimenti erano scanditi da clarini e tamburi e significava essere presi nel vortice di una danza frenetica che bisognava portare a termine. Una breve pausa per mangiare qualche zeppola e tracannare vino, poi si riprendeva il lavoro. Le sequenze del ballo sono queste: si inizia con un canto propiziatorio: Jesc sole, si passa al canto saluta allu padrone, per giungere al pettegolezzo Nu sacce che succise a Murupane.

Il capo mastro, per non far perdere il ritmo ripete di tanto in tanto: una, due e tre;se qualcuno perdeva il ritmo, visto che tutti avevano gli stessi nomi, il capo mastro li chiamava per soprannome e questi si accodavano al ritmo degli altri; se il bere e il magiare tardavano ad arrivare si era soliti ricordare la sciaguratezza con un canto: tutti li miezziurn son sunat. Poi qualche filastrocca per farsi un nuovo brindisi, stavolta si citavano le verdure e gli ortaggi.

A seguire l’inno dei puntunari Sartulella per finire con la Tarantella lu Ceras. Una volta completato il tetto si usava buttare del grano di tanto in tanto per evitare la comparsa di piccole fessure. A sera, finalmente, tutti a tavola: coniglio, zeppole e vino a torrenti, uniti a lazzi, canti e balli.

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