Martedì grasso nella tradizione ischitana: i “cicoli”
Ci sono ingredienti della cucina ischitana che in un mondo di diete forse non vengono più tanto “frequentati”. Ma almeno una volta all’anno si può, anzi si deve mangiare grasso. Quando? Ma a Carnevale naturalmente. Ed allora tuffiamoci nella dispensa delle bontà contadine di tanto tempo fa e portiamo in tavola i “cicoli”
I cicoli o ciccioli sono qualcosa di veramente, ma veramente grasso. Si tratta anzi di grasso puro.
Nei cicoli la proporzione tra carne magra e grasso si inverte: tanto grasso e qualche venatura rosa di carne, di maiale naturalmente. Sicuramente saprete che l’economia contadina di una volta era quanto di più lontano si possa immaginare dal consumismo.
Cosa vuole dire? Che di quello che dava la natura non si buttava niente.
Questo accadeva per ogni materiale, dalle erbacce dell’orto che diventavano mangime per conigli, all’allume delle botti di legno… Figuratevi poi quando si varcava la soglia della cucina. E non a caso il maiale è stato nei secoli ed è tuttora l’animale che si alleva con maggiore frequenza nelle campagne ischitane.
È proverbiale, del porco non si butta nulla. Men che meno il grasso, che in un mondo dove era necessario per affrontare i rigori dell’inverno, le fatiche della terra, il mare aperto ed i periodi di carestia. Gli avanzi delle parti grasse del porcello, i ritagli, venivano cotti e pressati a mattonelle: ecco i cicoli.
Nella cucina ischitana i cicoli venivano impiegati in tanti modi; finivano nelle torte salate, nelle pizze, nei casatielli, e venivano anche mangiati così senza null’altro. Il loro sapore deciso, il soave aroma “fumè” è qualcosa che si può capire solo assaggiandoli. Magari secondo la tradizione più rustica nella versione detta “ panino del muratore” pane, cicoli, ricotta fresca, sale.
E se al pane diamo una scaldata è ancora meglio: il grasso del maiale impregna la mollica fino alla crosta dura del panello, in un contrasto armonico di affumicature diverse e opposte consistenze.
E questi cicoli li vogliamo fare in casa, secondo l’antica tradizione contadine?
È un procedimento molto laborioso, ma lo spieghiamo ugualmente magari a qualcuno venisse voglia di rimboccarsi le maniche. Si fa bollire il grasso suino in un grosso recipiente di rame per circa tre ore. Poi si filtra con un panno - anticamente venivano utilizzati sacchi di tela- in prevalenza di lino o cotone, per separare la parte liquida da quella solida.
La parte liquida, una volta raffreddata, costituisce lo strutto, mentre il panno con all'interno la componente solida viene dapprima attorcigliato all'estremità e successivamente pressato più volte ed in più parti con le apposite “ganasce” in legno per favorire la fuoriuscita della restate parte grassa liquida.
Il contenuto del panno viene a questo punto distribuito sopra a fogli di carta paglia e condito con sale, pepe e alloro e posto in lastre di marmo per raffreddarsi a temperatura ambiente.
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