Dove Bergsoe trovò la cura dei suoi mali: la sorgente termale La Rita
Dove l’Epomeo volge a nord, la forza vulcanica di una terra ricca di energia vitale continua a sbuffare calore benefico. Sono le acque termali più antiche dell’isola di Ischia. Fra l’azzurro del cielo ed il verde, circondata da una natura rugiadosa delle colline, la sorgente de La Rita. Qui archi romani a testimonianza di una frequentazione umana che si perde nei millenni. Qui viaggiatori illustri e gente da tutto il mondo ha trovato la cura ai propri malanni. E la medicina termale non ha smesso di analizzarle queste acque portentose di Casamicciola
Il professor Giovanni Castagna scrive: «Il bacino detto La Rita è stato da sempre rinomato per l’efficacia dei fanghi, anzi sembra che sia stato il primo stabilimento termale d’Ischia ove il fango fu impiegato ad uso terapeutico. È situato in un profondo burrone dalle pareti, come afferma Jervis, “di tufo vulcanico di 20 metri di altezza quasi verticali” ed allora difficilmente raggiungibile per “un viottolo ripido e oltremodo malagevole”.
Nel corso del XVII secolo, intorno al bacino, sorsero molte abitazioni e la denominazione del luogo cominciò a subire non poche varianti. Iasolino, De Siano ed altri denominano la fonte come la “fonte dello Rete”, “del Rete” e, come “Fons retis”, il luogo è indicato nella carta dell’Isola di Mario Cartaro del 1586, allegata all’opera del medico calabrese Iasolino; come “Fons Ritis” in quella di Joannes Metellus nell’Itinerarium Orbis Christiani del 1598.
Il nome, in realtà, deriva da creta per la perdita, nella parlata locale, della consonante iniziale del nesso creta >reta > rita , esito che trova anche riscontro nelle parlate calabrese e salentina. Da creta, quindi, a Rita, Terme Rita ed oggi Santa Rita per una particolare devozione, forse, a questa santa del proprietario.
Nell’opera di Paul Buchner, Gast auf Ischia (Monaco 1971), viene riportata l’avventura di Wilhelm Bergsöe, amico di Ibsen, il quale, su consiglio del suo medico di Copenhagen, venuto a Ischia per la cura di una grave forma di gotta e, avendo fatta l’esperienza in diversi stabilimenti termali senza alcun risultato, si lascia un giorno condurre da Francesco, la sua guida casamicciolese, da un certo Patrizio, proprietario di terme famose per la loro efficacia, ben conosciute da tutti e frequentate anche da contadini della campagna romana, appunto allo stabilimento La Rita, costruito nel 1866: “due stanzine con bagni separati in mattoni e tre con bagni in fabbrica rivestiti di tegole inverniciate, uso napoletano, più 15 bagni in fabbrica, distribuiti tra 4 stanze”. La descrizione del percorso, fatto a dorso d’asino, tra opunzie e agavi in fiore, e quella del burrone, non lasciano dubbi sulla località.
Il proprietario disse a Bergsöe di sedersi su una panca con i contadini e, subito dopo, prese un enorme recipiente di argilla, lo legò a una corda e lo calò in una forra fumante. “Dopo aver tirato fuori il recipiente, lo pulì all’esterno, lo pose vicino a me su uno sgabello e mi disse di spogliarmi fino alla cintola. All’improvviso mi prese il braccio malato e lo immerse completamente nella massa bianca d’argilla. Era così bollente, che per il terribile dolore urlai e credetti che il mio braccio bruciasse”.
Il proprietario, tuttavia, non si lascia commuovere e gli tiene fermamente il braccio immerso nel fango. Dopo un quarto d’ora, glielo massaggia e Bergsöe ha l’impressione che stesse per spezzarglielo. Glielo benda e gli dice di ritornare il giorno dopo. Bergsöe giura che non metterà più piedi “in quell’orribile valle”, ma il giorno dopo, s’accorge che i dolori erano scomparsi e che poteva almeno muovere la spalla, immobile il giorno prima, e le dita. Vi ritorna, quindi, per ben dieci giorni, quando Patrizio con un sorriso di soddisfazione gli annuncia che la cura è ormai finita.
Paul Buchner, basandosi sulla comparazione di testi di storia termale, afferma che le Terme Rita furono il primo stabilimento ischitano dove si praticavano le cure del fango, cure che risalgono alla fine del XVIII secolo. Sul posto, dove nel 1866 fu eretta la modesta casetta, conclude Buchner, si susseguirono l’uno vicino all’altro cinque stabilimenti, tutti di proprietà della famiglia Castagna».
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